Bologna. A Villa delle Rose, fino al 22 marzo, la mostra «Muntadas. Interconnessioni» presenta una ragionata selezione delle opere di un protagonista dell’avanguardia del secondo ’900. Antoni Muntadas, dopo un periodo di formazione in Spagna, alla fine degli anni ’60 si trasferisce a New York dove entra in contatto con le pratiche concettuali e della controcultura, iniziando inoltre a insegnare in istituzioni come il Mit di Cambridge e lo Iuav di Venezia. Fin dagli anni ’70 anticipa temi e problemi che diverranno quanto mai attuali: la globalizzazione, i rapporti tra comunicazione e potere, la relazione pubblico/privato.
Considerato un pioniere della Media art, Muntadas utilizza diversi mezzi espressivi: interventi nello spazio urbano, fotografia, materiali tipici della comunicazione scritta e visiva, proiezioni, archivi, videoinstallazioni. Alla Biennale di Venezia del 2005 il visitatore veniva accolto all’ingresso del Padiglione della Spagna (trasformato dall’artista ne «Il Padiglione di On Traslation») dalla scritta «Attenzione: la percezione richiede impegno», che si può considerare il manifesto della sua poetica. Con una così complessa e variegata produzione presentare l’opera di Muntadas può costituire una sfida ardua.
A Villa delle Rose i curatori Cecilia Giuda e Lorenzo Balbi hanno giocato sulla specificità dei lavori e su una peculiarità fondante della ricerca di Muntadas: l’interconnessione. Sottolineando la componente di nomade e networker di Muntadas, Mark Wigley lo definisce: «una città, piuttosto che una persona, una rete di spazi di scambio che opera per lunghi periodi, piuttosto che un individuo».
I curatori ci invitano alla scoperta della «Città Muntadas», una città calviniana dove i segni s’intersecano con le immagini, i concetti con le relazioni, con un’analisi trasversale sul lavoro dell’artista raccontata attraverso 21 opere allestite sui due piani della Villa. Al primo piano il percorso ha funzione introduttiva e andamento cronologico, al secondo piano vengono presentate opere di diversi periodi. «Subsensory Experiences», degli anni ’70, pone al centro il tema del corpo, in «Mer cados, Calles, Estaciones», degli stessi anni, l’attenzione si sposta su quelle reti di relazioni la cui evoluzione critica verrà messa in luce dall’antropologia dei «non luoghi».
In «On Subjectivity» il tema è l’informazione: l’installazione è composta da un video e un libro che raccoglie 50 immagini di «The Best of LIFE» commentate da persone provenienti da aree geografiche diverse. Nell’installazione «La Televisión» (1980), il mass medium per eccellenza è appeso in alto nell’angolo di una stanza mentre immagini fisse in diapositiva invadono la stanza sulle parole dell’omonima canzone di Jannacci. La critica alla società dello spettacolo si fa più acuta e specifica in «On Traslation», serie ancora in corso iniziata nel 1995.
La traduzione diviene il dispositivo linguistico e segnico per l’indagine che l’artista compie a tutto campo. L’interpretazione del reale data dai mass media può così essere vista nella sua evoluzione temporale e nelle diverse situazioni: dalle architetture ai rituali agonistici (Media Stadium), dagli spazi della globalizzazione (aeroporti, centri commerciali, musei) ai sistemi di potere economico.
Concettuale e processuale, la poetica di Muntadas richiede da parte del pubblico una volontà critica di partecipazione. In «Mirar Ver Percepir» (2009) tre lampade da interrogatorio illuminano le parole del titolo scritte sul muro. Di quanto la materia sia delicata e complessa, è testimone «The File Room», progetto iniziato nel 1994 e tutt’ora in corso che raccoglie vari tipi di censura e pone interrogativi sulla libertà d’informazione quantomai attuali e inquietanti.
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